La "moda usa e getta" fornisce materiali alla rete di riciclo globale

L’impressionante quantità di abiti di seconda mano dei Paesi più ricchi viene ri-lavorata e rivenduta nei Paesi in Via di Sviluppo.

Ogni giorno tonnellate di abiti dismessi da abitanti dei Paesi più ricchi giungono in India.

Cadono a mucchi dai tapis-roulant, e donne vestite di coloratissimi sari si occupano di dividere gli abiti per tipologia: t-shirts, jeans da donna, camicie, abiti, pantaloni di tute, maglioni, felpe, cappotti, perfino pellicce.

Ogni mese, in India, arrivano via mare migliaia di tonnellate di abiti dismessi: l'India è una sorta di hub per la rete mondiale di acquirenti di vestiti di seconda mano, acquistati nei Paesi ricchi per rivenderli in tutto il mondo in via di sviluppo.

Molti abiti sono in eccellenti condizioni, ma la spinta a cambiarli viene dal mondo della fast fashion, la moda usa e getta, che ha inondato il mondo intero di abiti poco costosi, spesso prodotti negli stessi Paesi in via di sviluppo dove più tardi verranno venduti al mercato o riconvertiti in beni come lenzuola o imbottiture di cuscini. Alcuni lo vedono come un circolo virtuoso, che minimizza lo spreco e crea lavoro e una fonte di vestiti a basso costo per i più poveri.

E’ per questo che imprese dell'abbigliamento a basso costo presenti in quasi tutto il mondo, come H&M (Hennes & Mauritz AB) e altri, sono entrati nella catena di riciclo, raccogliendo abiti usati da rivendere o riciclare. Da quando H&M, per esempio, ha iniziato a raccoglierne, nel 2013, ha recuperato più di venti mila tonnellate di abiti.

Oltre a creare lavoro e prodotti accessibili nei Paesi in via di sviluppo, il riciclo di abiti permette di evitare che essi finiscano nelle discariche, e di aumentare smisuratamente i rifiuti da trattare.

Vi sono ovviamente alcune voci contrarie: alcuni produttori di abbigliamento nei mercati emergenti sostengono che la fornitura apparentemente senza fine di abiti usati non permetta alle industrie tessili locali di fiorire, e l’India si attrezza: permette l’importazione di abiti usati, la loro lavorazione e ri-esportazione, ma bandisce le vendite locali per proteggere la propria industria, e così fanno alcuni altri Stati, preoccupati proprio degli effetti della crescente industria dei vestiti usati e riciclati.

Molti abiti che vengono depositati nei bidoni di raccolta di associazioni benevole, come la Caritas, vengono rivenduti a intermediari per essere poi trattati come descritto.

Nelle aziende di smistamento e riciclaggio in India vengono conservate tutte le parti dei capi di abbigliamento, niente va perduto.

E, prima ancora dell’attività di riciclaggio, c’è un’altra attività redditizia: vi sono imprenditori che pagano le imprese che riciclano abiti per poter frugare nelle pile di abiti alla ricerca di monete, orologi e altri articoli di valore. Si racconta perfino di pistole trovate fra gli abiti.

Poi gli operai addetti alla divisione dei capi li suddividono in 200 categorie diverse per poterli rivendere, ma alcune aziende hanno anche dei team addetti alla ricerca e al riconoscimento di abiti di alta moda o di grandi marche, con l’aiuto di poster per riconoscere abiti ed etichette di firme come Giorgio Armani, Hermés, Prada, Gucci e simili, ma anche articoli vintage, come jeans Levi’s degli anni Cinquanta.

Nella suddivisione si tiene conto anche delle taglie: soprattutto dagli Stati Uniti, ma non solo, spesso arrivano abiti troppo grandi per poter essere rivenduti, e vengono scartati, per essere poi lavorati e trasformati in altro.

Solo il 30% circa degli abiti è adatto a essere rivenduto, il resto viene appunto suddiviso nelle sue parti componenti: bottoni, cerniere, ecc. Ciò che resta viene tagliato in stracci per le fabbriche che li trasformeranno. Altri capi, che non sono adatti nemmeno a diventare stracci, vengono tritati fino a ridurli in fibre, che vengono poi rilavorate e ritrasformate in filo. Il filo viene poi usato per creare isolanti o per fare lenzuola economiche per le organizzazioni umanitarie che si occupano di aiutare le popolazioni colpite da disastri naturali e guerre.

Nonostante la macchina del riciclo sia imponente e adatta a trattare decine di migliaia di tonnellate di abiti al mese, ci sono segni che il sistema fatichi ormai a tenere il passo della marcia instancabile delle nuove produzioni. La caduta dei prezzi del petrolio e la domanda in rallentamento nel mercato cinese hanno reso le coperte acriliche di nuova produzione più economiche di quelle create a partire da materiali riciclati. Nell’anno appena trascorso il costo dell’abbigliamento usato è caduto del 30-50%, e i magazzini si stanno riempiendo in India, ma anche in Canada, e in Gran Bretagna, dove alcune industrie del riciclaggio sono state chiuse, secondo la Textile Recycling Association.

Alcune imprese dell’industria della moda usa e getta si stanno muovendo in questo senso: non solo raccolgono abiti usati, ma offrono sconti sui nuovi prodotti ai loro clienti se riportano gli abiti usati, come fa H&M, ma anche OVS. Alcuni abiti usati sono riciclati all’interno dell’impresa stessa, come avviene in H&M, anche e la maggioranza viene ancora venduta sul mercato internazionale del riciclo. H&M punta al riciclo di tutte le fibre tessili che utilizza oggi, e a questo scopo ha anche una sustainability manager.