Starbucks sbarca in Italia

L’arrivo della famosa catena di caffetterie USA a Milano fra dubbi, timori e polemiche

Fresca di conquista di territori in tutto il mondo con i suoi Frappuccino e mocha freddo, con le sue varietà di caffè spesso personalizzate per il mercato che va a conquistare, Starbucks ha finalmente deciso di prendere il coraggio a due mani e di aprire, come promesso molti anni fa da Howard Schultz, anche in Italia.

L’Italia: terra difficile secondo gli analisti della catena e per gli osservatori esterni, in quanto luogo di tradizione di espressi e di caffetterie e bar frequentatissimi ovunque; terra dei più esigenti consumatori di caffè al mondo. Ma anche l’Italia come luogo di originaria ispirazione per Schultz per creare la sua catena di succcesso, circa trent’anni fa. L’idea per i suoi locali venne infatti a Schultz bevendo un espresso in un bar milanese, ed è proprio a Milano che verrà probabilmente aperto, entro gli inizi del 2016, il primo Starbucks in suolo italiano.

Si mormora in questi giorni, e il Corriere della Sera ha pubblicato la notizia qualche giorno fa, che l’azienda americana sia in trattative con un partner italiano per aprire delle filiali in Italia, uno dei pochi grandi mercati dove Starbucks non è ancora entrata.  L’Italia rappresenta il settimo Paese in Europa per consumo di caffè secondo le stime della European Coffee Federation, l’associazione che rappresenta il commercio del caffè verde, l’industria di torrefazione del caffè, i produttori di caffè solubile e i produttori di decaffeinato.

Il potenziale socio per l’apertura milanese sarebbe Antonio Percassi e, secondo quanto riportato dal Corriere, l’accordo dovrebbe essere firmato entro Natale. Un’altra fonte avrebbe confermato alla Reuters che ci sarebbero trattative in corso. Alla domanda diretta, il portavoce di Starbucks, Corey duBowa, ha risposto che si tratta di pettegolezzi e voci di corridoio, e che l’azienda non ha alcuna dichiarazione da fare in merito.

Il gruppo Percassi, basato a Bergamo, possiede la catena di cosmetici low cost Kiko, che oggi conta più di 700 negozi sparsi per l’Europa e gli Stati Uniti. Non solo, ha anche un contratto di franchising per l’Italia con la catena di negozi monomarca di biancheria intima da donna Victoria’s Secret.

Se Starbucks effettivamente farà la propria entrata in scena sul mercato Milanese e italiano, sarà il secondo colosso della ristorazione americano ad avventurarsi sul terreno minato di una produzione tipica italiana rielaborata dagli USA: infatti, ai primi di ottobre ha aperto il primo ristorante, sempre a Milano, la catena di pizzerie americane Domino. La pizza, piatto italiano per eccellenza, viene vista, nelle sue variazioni estere, con grande sospetto. Se il coraggio di aprire lo ha avuto Domino, è probabile che le voci che circondano la prossima apertura di Starbucks siano realistiche, dato che il caffè comunque viene già apprezzato in numerose varianti, anche se magari non quelle molto allungate all’americana o alla tedesca.

Molti consumatori più tradizionalisti storceranno il naso, all’idea di consumare un mocha espresso o un macchiato scremato e mezzo caffeinato. A molti sembra improbabile che si adattino, ma potrebbe presto invece diventare una reale possibilità. Anche se l’Italia ha introdotto il concetto e il luogo della caffetteria più di 400 anni fa, ora si trova di fronte alla sfida tutta americana a questa istituzione sotrica, ritenuta quasi un patrimonio nazionale.

L’azienda americana ha già filiali in località della Svizzera, della Germania, della Tailandia, dell’Arabia Saudita, a Dubai, e in altri Paesi, dove il caffè Starbucks è recepito come esotico e come una novità eccitante, anche se in alcuni, come il Giappone, è diventata per molti già un’abitudine: nel paese del Sol Levante, infatti, sono già 200 i negozi portabandiera.

Starbucks in Europa è già sbarcata anche nel Regno Unito, dove ha raggiunto quota 200 negozi, e il primo test sulla difficile Europa continentale lo fece aprendo in Svizzera, considerata un laboratorio sperimentale, essendo un melting pot di culture, lingue, molte nazionalità ed etnie differenti. La multiculturalità della città di Zurigo fu allora la sede prescelta per il primo esperimento tentato in terra elvetica. Oggi il successo ha arriso all’azienda anche lì: sono già in funzione da alcuni anni perfino due treni, un unicum a livello mondiale, nella tratta Ginevra Aeroporto-San Gallo, con carrozza Starbucks, dove vengono venduti caffè della normale offerta e prodotti stagionali.

Il treno FFS in Svizzera

Il treno FFS in Svizzera

La filiale di Dortmund, Germania

La filiale di Dortmund, Germania

Ma il nuovo tentativo di sbarco in Italia sarebbe una vera sfida: se l’Europa considera il caffè con orgoglio e gioia e non sembra tollerare troppo le intrusioni estere, gli italiani proteggono la propria cultura nazionale del caffè: già da molti anni esiste l’associazione che tutela i locali storici, dei quali circa un terzo sono rappresentati da pubblici esercizi che offrono caffè da almeno settant’anni.

Per gli italiani, il rito del caffè è quasi come respirare: recenti rilevazioni hanno stimato che ogni anno vengono bevute in Italia circa 70 milioni di tazzine di caffè: un totale di 600 espressi per persona, consumate nei 110.000 bar italiani. Milano, il cuore della moda italiana, ha ben 600 bar. Il culto del caffè tiene in gran conto anche la qualità del caffè stesso. Gli americani, in realtà, si concentrano più sull’immagine che sul caffè stesso.

La compagnia americana sostiene di tenere in gran conto le peculiarità locali, quando apre a nuovi mercati, e, in effetti, in Giappone, per esempio, si trovano molti gusti particolari che aromatizzano il caffè e che sono tipicamente giapponesi, come il gusto Sakura, ovvero fiore di ciliegio, e forse è questo il motivo di un tale successo in breve tempo: le origini del caffè rimangono sempre le stesse, ma cambia l’offerta in termini di aromi e di cibi per accompagnarlo.

Tuttavia, la vera sfida per Starbucks in Italia sarà non tanto quella di aprire e mantenere nel lungo termine redditizie filiali, bensì quella di riuscire a rovesciare secoli di tradizione, entrando, fra l’altro, in un’area di prezzo decisamente maggiore di quella dell’espresso tradizionale: mentre quest’ultimo si aggira sull’euro nella quasi totalità dei bar, se consumato al banco, i prezzi di Starbucks in Svizzera sono fra i 4 e i 6 franchi svizzeri, poco meno di 4-6 euro. Che sembra un prezzo elevato, ma se confrontato con i prezzi richiesti per consumare un caffè seduti in certe piazze e bar italiani, in fondo, non sono poi estremi.

Il caffè oggi è la seconda commodity negoziata al mondo, dopo il petrolio: con la spinta di Starbucks e nuove variant inventate per ogni Paese, il trend di commercio del caffè sembra destinato a continuare, se non ad aumentare.